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Documenti del 1792 confermano che da anni, si svolgeva a Poggibonsi il mercato settimanale il giorno di martedì. Ed ancora oggi il martedì e giorno di mercato, anche se 1'interesse di questo appuntamento settimanale e andato via via diminuendo. Costantino Antichi nel suo libro "Poggibonsi in età Napoleonica" ci fa sapere di avere appreso, che per 1' apertura del mercato si doveva osservare un certo cerimoniale, con orari precisi, settori merceologici ben distinti e rigorosamente osservati. Sara bene riportare fedelmente quanto disposto a suo tempo ricordando che la data e del 27 novembre 1792. "II Pubblico Generale Consiglio detta le norme che regolano lo svolgimento del mercato settimanale che da antichissima data si teneva il martedì. Per le zone si dice: tutta I'estensione di Piazza Grande comprese le sole scalinate della chiesa e le logge del Pubblico. Tutta la strada detta Piazza Calda fino al giardino di pertinenza di Luigi Del Re. Tutta la strada del Poggiarello fino alla porta di San Gimignano. Tutto il tronco della strada Regia Maestra di Borgo, fino alla cantonata della spezieria del Sig. Filippo Del Zanna. II circondario della vendita del carbone e del bestiame andava dalla tone rovinata dei padri Agostiniani, nell'orto di sopra fino alla cantonata dei signori Malavolti. II mercato doveva essere sgombro da barrocci e bestie, per non impedire al popolo, ne il pubblico transito, ne la pubblica contrattazione. L'inizio delle contrattazioni avveniva dopo il suono della campana che esiste in Podesteria e che doveva durare un quarto d'ora. L'ora esatta di inizio veniva indicata secondo la stagione. L'importanza dei mercati settimanali andò via via diminuendo, assumendo invece una notevole importanza le fiere stagionali che nel caso di Poggibonsi erano tre e cioè la Fiera di Mezza quaresima, quella di Settembre (detta delle cipolle) e quella di Natale. La prima era senz'altro la più importante. La data, non sempre fissa, ma sempre logicamente nelle vicinanze della Pasqua. E perché la più importante? Questa manifestazione mobilitava da mesi tutto il mondo degli allevatori di bestiame. Lo scopo finale era quello di presentare proprio alla "Fiera di mezza quaresima" i vitelli più belli, con il precise scopo di realizzare il piu possibile. Era quella 1'occasione per i macellai di scegliere i capi più idonei al consumo per il periodo pasquale. Ecco perché tutte le fattorie della zona si organizzavano, con la collaborazione dei contadini mezzadri, preparando un piano ben precise, finalizzato ad avere pronto per la Fiera, il più bel vitello. Si studiavano con cura i più sofisticati metodi di ingrassamento, anche se tutto questo era a base allora, e non come oggi, di alimenti più che naturali e genuini, in massima parte proprio prodotti dalla stessa fattoria. Non potevano mancare, sempre con la correttezza dovuta, gli allevatori stravaganti, che proprio per questo sono passati, non dico alla storia, ma nel ricordo popolare. Vinse un primo premio un vitello che era stato allevato ed ingrassato, naturalmente non solo con vino dolce o Verdea, ma certamente con 1'apporto notevole di questa sostanza. Non posso giurare che sia tutto vero, ma cosi ebbe a dichiarare 1'allevatore. II giorno della Fiera, la piazza dei Fossi era letteralmente stipata di bestiame. Lo provano documenti fotografici dell'epoca. Le fattorie di Montefalconi, Cusona, Megognano, Ormanni sono spesso ricordate per aver riportato i maggiori success!. Dimenticavo di dirvi che una apposita giuria assegnava annualmente certificati di merito, che con legittimo orgoglio venivano incorniciati ed esposti in fattoria. I vitelli erano addobbati a festa ed ogni fattoria di una qualche importanza, disponeva di gualdrappe ricamate evidenziando il nome della fattoria. Con queste bardature venivano condotti dai mezzadri o dai fattori o dai proprietari, che non disdegnavano di farsi fotografare sfilando per Via Maestra, per soffermarsi magari, davanti alla macelleria che aveva appena acquistati quei capi. La Fiera di Pasqua non era tutta qui. La Via Maestra dalla Piazza, del Comune fino alla "porta di sotto" era occupata dai banchi di venditori di brigidini, croccanti e mente. Croccanti e mente venivano confezionati sul posto alia presenza di numerosi ragazzini con 1'acquolina in bocca. Veder tirare la menta e dico tirare, proprio perché la lavorazione consisteva nel prendere I'impasto ancora caldo con gesti veloci e 1'uso di un apposito gancio. L'impasto doveva essere portato come ad una lunga salsiccia per poi essere tagliata a tocchetti. Tanto piccoli non erano in quanto mi ricordo che uno di questi, riempiva letteralmente la bocca. Era uno spettacolo assistere alla lavorazione, con la menta di vari colori, poi fusi in un blocco solo. I negozi di paese mettevano esposta sulla strada la propria mercanzia in concorrenza dei banchi dei venditori ambulanti che accorrevano più numerosi del solito, in quell'occasione, occupando tutta la. piazza del Teatro e la zona del "gioco del pallone". Erano famosi i battitori. Chi erano? Vendevano articoli provenienti spesso, da stock di magazzino o a seguito di fallimenti o liquidazioni, che arrivavano quindi sulla piazza a prezzi stracciati. Ma non era tanto il prezzo, sempre logicamente interessante, che attirava il compratore. Era fondamentale la spettacolarità del battitore ed in questa attività vi erano dei veri e propri artisti del mestiere, ricercati da più parti, sicuri che con il loro intervento non si facevano altri fondi di magazzino. Erano capacissimi di fare gli elogi e vendere gli articoli più disparati. Ne abbiamo uno di questi a Poggibonsi, una vera Stella fra i migliori. Ottavio Montucchielli ha venduto tazze, piatti, lenzuola e tappeti, calzini, mutande da uomo e da donna e chi più ne ha più ne metta. Ma vediamo come avvenivano queste battute che erano dei veri e propri spettacoli, tant'e che la follia che si assiepava davanti alla postazione era composta in massima parte da curiosi divertiti ed in minima parte da probabili acquirenti. Per esempio si offrivano 10 piatti per una certa cifra e fra battute più o meno ripetibili, si passava a 15 piatti e poi ancora a 20 piatti, per poi, ed ecco la trovata finale, offrire questa eccezionale occasione ai soli primi 10 acquirenti che avrebbero alzato la mano e non ad uno di più. Sembra una cosa risibile oggi, ma non lo e perché ho visto fare le televendite attuali, con lo stesso sistema della limitazione dei fortunati. Poi, pero, in definitiva contenteranno tutti o scontenteranno tutti perché vendite più o meno convenienti. A quel punto tutti si accalcavano sotto il palco (i battitori operavano su un palco rialzato, proprio per dominare meglio i clienti) per essere fra i primi 10. Un altro segreto del battitore era quello di non ripetere 1'offerta precedente, ma anche se in forma analoga, veniva sostituito 1'articolo. Artisti nel vero senso della parola. Ricordo di due fratelli, sicuramente Campigiani (di Campi Bisenzio) che se non vado errato, si chiamavano Fissi, produttori in proprio e venditori diretti di sapone da bucato, di cui si faceva allora un grandissimo uso. Per le fiere mettevano casse di sapone una sull'altra all'angolo della Piazza del Teatro. Iniziavano offrendo per una certa cifra, come al solito, un pezzo di sapone facendo storcere la bocca agli astanti, non soddisfatti, ne aggiungevano allora un altro sul palmo della mano e poi un altro ancora, poi sul braccio e non finivano di aggiungerne ancora finche 1'ultimo pezzo di sapone raggiungeva la spalla. Sia ben chiaro, che anche i probabili clienti sapevano benissimo che 1'affare si concludeva solo quando il braccio era completamente ricoperto di pezzi di sapone, ma ognuno faceva il proprio gioco delle parti. La cosa si e ripetuta per anni, ma la mimica dei due fratelli sembrava sempre nuova. Si rimproveravano a vicenda per la troppa generosità o per la evidente grettezza. Si offendevano o si elogiavano, insomma una scenetta degna della migliore commedia dell'arte. Ma non era solo fiera era anche festa Venivano le giostre, il circo equestre, i baracconi con il tiro a segno ed una strana apparecchiatura per mettere alla prova la forza di chiunque volesse provare. Consisteva in un grosso peso a cavallo di uno scivolo, una specie di ferrovia con una sola rotaia, che seguiva un percorso in rapida salita. La forza veniva misurata a secondo del punto raggiunto dai peso, spinto con un solo braccio. Chi riusciva a raggiungere la sommità dello scivolo riceveva un premio consistente in un "lecca-lecca" o in un "mangia e bevi". Non ci potevano essere discussioni sul fatto che il peso era arrivato o no alla sommità, perché solo raggiungendola esplodeva un piccolo petardo. In questi casi, non troppo frequenti, occorrendo uno sforzo notevole, gli applausi erano di prammatica. Faceva molto effetto il mangiatore di fuoco. I piu piccoli erano i più impressionati da questo personaggio, generalmente nerboruto, che a torso nudo e con in mano una fiaccola, lanciava fiamme a destra e a manca. Pero "1'uomo filo" era il massimo che si potesse immaginare come spettacolo da baraccone. Era la sua pericolosità che metteva brividi. Veniva teso un cavo d'acciaio fra la Collegiata ed il Palazzo Comunale. L'equilibrista con un'asta in mano passeggiava avanti e indietro su questo cavo. Se ne vedono di questi spettacoli, indubbiamente anche oggi al circo equestre, ma dovete considerare che, allora, non c'era la rete di protezione che oggi e obbligatoria per spettacoli del genere. Allora, cadere da quell'altezza, voleva dire una enorme frittata sulle pietre della piazza. Cosa facevano per guadagnarsi il pane. Che si concretizzava, appena sceso dalla fune, nel passare con il cappello in mano a riscontrare la generosità degli astanti, i quali talvolta, appena finito lo spettacolo se la squagliavano. Che dire dell'orso portato a spasso per le vie del paese, con una enorme museruola e legato con una catena. Povera bestia, mi faceva una sincera compassione nel vederlo alzare a comando le zampe anteriori ed emettere dei gridi tali da commuovere anche le pietre e che al contrario rendevano soddisfatto il suo conduttore con un'impressione del volto, come di chi dice: "avete visto cosa sono capace di fargli fare?". Lo odiavo. Chissà se 1'orso avrà mai capito, che tutte queste esternazioni servivano, in definitiva, per dar da vivere a lui ed al suo cosiddetto padrone. Sarebbe bello scandagliare anche nel cervello degli orsi, più o meno ammaestrati. Comunque le fiere erano un appuntamento atteso, che vedeva mobilitarsi gran numero di persone, nonostante vi fosse una certa difficoltà di spostamento. Contribuiva a tutto ciò la necessita di scambi inerenti al periodo in cui si svolgevano. Prima di Pasqua, prima dell'autunno, prima di Natale, cioè periodi nei quali si prevedevano incrementi di spesa e conseguente realizzo. Mi piace ricordare una fiera, stavolta non di Poggibonsi, bensì di Colle. Era la fiera degli uccelli che si tiene ogni anno il 21 settembre. Si chiama sempre cosi, ma di uccelli non se ne parla proprio. Nel periodo prebellico ha avuto una risonanza regionale. Gli appassionati cacciatori si riversavano a Colle in quell'occasione alla ricerca degli uccelli da richiamo per i propri capanni da caccia. Fringuelli, frosoni, gazzine, tordi ed arpigini erano contesi a suon di biglietti da cento. Le offerte erano numerose ed anche le richieste, perciò mercato attivo. Ma trovare il richiamo che poi richiamava veramente non era tanto facile. E tanti richiami inutili finirono allo spiedo. Per concludere. Erano fiere ed erano feste. Oggi inconcepibili.